
La raccolta delle olive e la produzione dell’olio nel comune di Acquaro è da sempre molto importante e curata; questo perché, fino a qualche tempo fa, era l’unico sostentamento e inoltre quasi tutte le famiglie hanno uno o più uliveti, mentre chi non ce l’ha spesso s’impegna a raccogliere quelle d’altri facendo a metà col raccolto. La produzione dell’olio è un lavoro molto impegnativo che dura, a volte, anche diversi mesi. Sul finire dell’estate, dopo aver provveduto ad una buona concimatura e zappatura in primavera, si inizia a preparare il terreno per la raccolta pulendolo dalle erbacce ormai secche. Una volta, questo passaggio era molto importante perché la raccolta delle olive si faceva tutta a mano e quindi si cercava di pulire il più possibile, oggi, con l’uso delle reti, si fa un lavoro più grossolano. Si stendono, quindi queste lunghe reti plastificate che danno una mano preziosa durante l’inverno.

Raccolta delle olvie
Il primo raccolto inizia verso la fine d’ottobre quando si può già trovare la “rimunda” (olive “deboli” che cadono subito) e poi si va avanti per tutto l’inverno ed anche primavera se il frutto è abbondante. Si usava molto “u cernijju”: una specie di crivello a maglie molto larghe che, usato con gesti precisi dalle braccia, faceva cadere foglie e sassolini e tratteneva le olive pulite. Dopo 3-4 giorni, o più a seconda dell’estensione del terreno, la raccolta terminava e si aspettava una “nuova caduta” naturale. Nel frattempo, il raccolto doveva essere trasformato in olio e quindi, dopo brevi accordi, veniva portato al frantoio (“trappito”, “olificiu”, “sansificiu”).

Trasporto al Frantoio
Al frantoio le olive si scaricavano, nella “trimoggia” che comunicava con le grosse macine, vere protagoniste che avevano il compito di frantumare le preziose bacche al meglio possibile. Questo compito toccava al “macchinista” che il solo dotato di esperienza, sapeva la giusta consistenza della pasta. Era quella la tappa finale più importante che indicava se l’annata era provvidenziale o meno. Scendeva giù dove c’erano delle vasche piastrellate e da quel liquido un po’ disgustoso, con un semplice piatto di stagno o alluminio, portava alla luce l’oro prezioso. Con maestria, l’olio veniva “nzumatu” e messo in contenitori che il proprietario guardava con orgoglioso piacere pensando non più alla fatica, ma al dopo.
Non di rado si usava portare del pane fresco per fare il primo assaggio ed era anche quello un momento speciale che solo chi l’ha provato lo può definire, soprattutto se ci aveva lavorato… Finito questo ciclo, il prezioso carico veniva riposto, anni fa, in giare di terracotta, poi nei “landiuni” (grandi fusti) oggi in contenitori più pratici e più igienici in acciaio. L’olio era ed è una manna preziosa. Serviva a sfamare tutta la famiglia, a regalarlo agli amici ed ai bisognosi, “ai santi” (venduto poi all’asta), a conservare prodotti, soprattutto i salumi, e perfino i residui venivano utilizzati per fare il sapone in casa. Se poi fortunatamente, e si sperava veramente questo, ne avanzava, veniva venduto a prezzo di mercato ai compratori d’olio. piede dietro l’altro e pregare di non rotolare giù portando un sacco sulla testa e per giunta dovevi risalire la collina e poi ridiscendere e poi risalire.